Ora parlerò di due opere distinte: Petali Erranti e L'Altare Perduto. Entrambe sono astrazioni di un oggetto che tutti conosciamo: i fiori. Non un fiore specifico, ma il gesto di offrirne uno, l’istante in cui viene donato, lasciato, ricordato. Il fiore come simbolo universale, omaggio eterno a una memoria che non svanisce. Nella tristezza, nella gioia, in qualsiasi lingua, un fiore parla. E queste immagini, pur nate dalla stessa radice, rivelano stati diversi della stessa emozione.

Petali Erranti è la versione più leggera, più dispersa. Quest’opera è nata da una sensazione di frammentazione, come se parti di me si fossero staccate e galleggiassero senza direzione. Disconnesse, senza comunicare. I petali sono pezzi, non solo di corpo, ma di memoria, di desiderio, di decisioni prese senza sapere del tutto perché. Dipingerli è stato come raccogliere ciò che si era perso lungo il cammino, senza cercare di metterlo in ordine—solo riconoscendolo.

C’è qualcosa di morbido in essi, nei blu che fluttuano come il mare, ma anche qualcosa di inquieto: fuoco e rossi intensi dentro la calma. Sono erranti perché stanno ancora cercando dove posarsi, appartenere, comprendere. Ogni tratto è stato un modo per accettare ciò che è andato, ciò che non è tornato, ciò che ancora si muove dentro di me e ciò che deve ancora arrivare. Disperazione senza pazienza, ma con il tentativo di fare spazio affinché possa accadere. I colori si toccano senza mescolarsi del tutto, come se ogni emozione avesse bisogno del proprio spazio per respirare. Quest’opera non cerca di chiudere, cerca di accompagnare. È un cammino intimo di ciò che è disperso, ma anche di ciò che può ritrovarsi. Qui, la fragilità non è debolezza—è movimento.